Secoli fa presi in mano un libro che mi diede una vera, autentica gioia.
Faccio un po’ fatica a ricordarne l’intreccio.
Ricordo (con qualche difficoltà) che i romanzi della mia lontana giovinezza erano classificabili in due categorie.
- Quelli che finivano bene, usciti dalla penna di A. Manzoni, Collodi, Dickens, Jane Austen, Sophie Kinsella ecc. L’amore trionfa, Elisabeth sposa Darcy, la peste spazza via il cattivo, Geppetto abbraccia Pinocchio, Emily parte con lo zio per l’Australia e il piccolo Conte di Dorincourt festeggia il Natale con la mamma.
- Quelli senza lieto fine, quelli dove madame Bovary, Mastro don Gesualdo, il principe Miskin fanno la fine che fanno e dell’equipaggio del Pequod un solo marinaio sopravvive. Forse il romanzo più amaro di tutti è IL GATTOPARDO, dove si assiste all’ascesa del cinico politicante Sedara mentre le illusioni dei siciliani svaniscono presto: “in quella nottata di vento lercio era stata strangolata la buonafede”
Ora mi chiedo se esista una via di mezzo. Una storia non troppo ottimista e non troppo disastrosa.
In 10 PICCOLI INDIANI tutti muoiono e non c’è neanche un Poirot o un Montalbano che riesca a ricostruire la strage.
Dalla parte apposta il trionfo del lieto fine: la versione edulcorata dei fratelli Grimm, dove arriva il cacciatore a far fuori il lupo cattivo salvando nonna e nipote che non si sono fatte neanche un graffio.
E adesso vi rivelo di quale romanzo parlavo all’inizio: LA CERTOSA DI PARMA.
TRAMA ESSENZIALE
Fabrizio è nato da nobilissima stirpe, ma illegittimo. Ci pensa la ricca e bella zia a fargli fare carriera. Scappa di casa (è già un bell’inizio), si mette nei guai con la polizia (ma la zia lo protegge efficacemente) sperimenta il sesso con molte (giovani e meno giovani), conosce anche l’amore romantico, fa becco un generale e non si sposerà mai.
Sì, certo (direte voi) ma alla fine Fabrizio muore.
Beh, è vero. Muore, ma è una morte romantica. E poi, si sa, alla fine tutti morir dobbiamo.
L’importante è morire con stile.
Conclusione.
LA CERTOSA ecc è un esempio di via di mezzo. Non finisce con “vissero tutti felici e contenti”, ma con “quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia; quant’è bella la mia zia!”
P.S. E voi che mi leggete avete mai trovato in un romanzo il giusto equilibrio tra la favola buonista e il lato cupamente tragico dell’esistenza?