Non sapremo mai come si chiama il protagonista di questo breve romanzo (80 pagine) di J. L. Sepùlveda.
Non ce lo vuol dire (comprensibile), ma ci fa capire di essere sui 45 e di essere molto apprezzato nel suo ramo.
“Arrivo, ammazzo e me ne vado. Ecco cosa ho fatto negli ultimi 15 anni…”

Questa volta deve uccidere (e forse sarà il suo ultimo incarico) un messicano, Victor Mujica. Potrebbe sparargli a Istanbul, ma i suoi datori di lavoro (suppongo il cartello dei narcos colombiani, ma preferisco non approfondire) vogliono che Mujica muoia a Città del Messico.
Cosa ha fatto di così grave Victor Mujica? Sta inondando gli Stati Uniti di droga a prezzi stracciati, perciò rovina il mercato ai concorrenti.
A questo punto faccio un passo indietro.
E’ un killer sentimentale: 3 anni prima si è innamorato alla grande di una francesina, contravvenendo alla legge fondamentale della sua professione (nessuna debolezza, nessuna visibilità: bisogna svanire come ombre) e diventando vulnerabile.
E adesso la francesina lo ha mollato via fax: “ti voglio bene, ma amo un altro…” (peggio che Ingrid Bergman in Casablanca).
Povero killer. Ci resta malissimo. E proprio nel momento in cui sta per uccidere Mujica SI TROVA DAVANTI LA FRANCESINA…
CAPITO DI CHI SI ERA INNAMORATA?
Cosa succede nel romanzesco finale (essendo un romanzo, è logico che il finale sia romanzesco)?
Sto per dirvelo. Ma, se non volete saperlo, siete ancora in tempo! Per darvi tempo di voltare pagina adesso mi dilungherò per una ventina di righe sugli aspetti formali di questa storia.
Sepùlveda scriveva bene, non occorre che lo dica io. In questo caso si è divertito a parodiare i noir di Hammett e di R. Chandler.
Il protagonista è un superduro, beve continuamente gin (ma come fa a mirare così bene?), si concede spesso lunghe nottate di sesso con puttane internazionali (a parte la francesina) e passa la vita tra taxi e aerei. Vive talmente da solo che parla da solo, o meglio con la sua immagine nello specchio (“l’abitatore degli specchi”) a cui rivela la propria malinconia. Al lettore preferisce mostrare la sua freddezza.
Cito alcune frasi dell’autore, tanto per rendere l’idea: “mi preoccupai che il primo pezzo di piombo lo cancellasse subito dalla lista dei vivi” … “o aveva una verga così lunga che doveva reggerla con la cintura o sotto gli abiti portava un cannone” … “era la verità, la dannata schifosa verità”
Siete ancora qui? Allora posso raccontarvi come va a finire.
Il protagonista rintraccia Mujica e “la gran figa francese” in una casa di viale Alfonso Reyes. Fa latrare due volte la sua Colt calibro trentotto e se ne va.
“..è vero, l’amavo… ma ero un killer e i professionisti non mischiano mai il lavoro con i sentimenti”