Citavo ieri IL GATTOPARDO come esempio di versione cinematografica migliore del romanzo.
Questo giudizio, espresso in presenza del mio prof. di italiano al liceo Righi, Vincenzo Amoroso, mi avrebbe procurato un brutto voto. Adesso lui non c’è più, ma devo comunque argomentare.
Bellissimo il romanzo, tra i più degni di memoria del Novecento italiano. Ma migliore il film, capolavoro di L. Visconti.
Nel romanzo, Giuseppe Tomasi principe di Lampedusa esprime il suo radicale pessimismo sulla storia umana (e in particolare sulla storia dei siciliani): non c’è speranza di progresso o di miglioramento, tutto andrà sempre male e semmai peggiorerà, i grandi ideali patriottici e sociali sono ridicolizzati con l’analogia del formicaio n°2 sotto il sughero n°4 della cima di Monte Morco (capitolo III). L’unica cosa sensata che un siciliano può fare è FUGGIRE, come Giovanni (il secondogenito del Principe) che un giorno parte per Londra e non torna più.
Mi immagino il povero Vittorini che salta sulla sedia leggendo (nel capitolo I) che “la teppa cittadina aspettava il primo segno di affievolimento del potere, voleva buttarsi al saccheggio e allo stupro”… o “i gran signori erano riservati e incomprensibili, i contadini espliciti e chiari; ma il demonio se li rigirava intorno al mignolo, egualmente”(capitolo quinto).
Nel film di Visconti la raffinata disperazione del romanzo è sfumata. Viene anzi inserita un’epica battaglia per le vie di Palermo per significare che il Risorgimento non fu solo machiavellismo, congiura massonica, ipocrisia, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, SACCHEGGI E STUPRI, ma anche il sogno romantico di tanti giovani generosi che andarono incontro alla morte in nome della libertà.