Finito di leggere ACCABADORA, mi sono chiesto: “Se fossi stato uno dei giurati del Campiello per chi avrei votato?”
Meno male che non ho dovuto scegliere. Ho evitato l’imbarazzone della sceltona.
Sono romanzi bellissimi, ma molto diversi: quello di Pennacchi è fluviale, con una ricchezza (direi eccessiva) di temi e personaggi, mentre Michela Murgia racconta una storia più stringata. 160 pagine ben scritte e pochi personaggi (2 protagoniste e un comprimario).
Racconto la TRAMA a chi non l’ha ancora letto e (dopo l’immagine) mi rivolgerò a chi lo conosce già. Aggiungendo il “come va a finire”.
In un paesino della Sardegna, dove la miseria è tale che “si impara a fare il bollito con l’ombra del campanile” (se questa battuta vi diverte vuol dire che negli ultimi giorni avete mangiato) e dove spostare anche di poco il confine tra due vigne può provocare sanguinosissime conseguenze, la piccola Maria Listru viene adottata dalla sarta Bonaria Urrai.
Solo dopo molto tempo Maria capisce per quale motivo la madre adottiva è importante (e molto rispettata dalla gente del posto): ha il compito di “porre fine alle sofferenze” dei malati terminali.
Appena lo viene a sapere, raccoglie le sue povere cose in una valigia e se ne va a Torino.
Ma qualcosa mi dice che tornerà… (e mi fermo qui: se non volete sapere come va a finire VI CONSIGLIO DI VOLTARE PAGINA)
Ora parliamo tra noi che abbiamo letto ACCABADORA.
Cosa ve ne pare dell’EPISODIO TORINESE? E’ solo un riempitivo o illustra che anche nel Continente avvengono cose ATROCI, come lo stupro subito dal piccolo Piergiorgio ad opera di uno sporcaccione?
Anzi, il ritorno di Maria a Soreni (a parte che sente di dover pagare il suo debito) può essere interpretato come la scelta di una vita povera ma pulita?
Perché zia Bonaria è “pulita”. Si può discutere quanto si vuole sul piano astratto (il suo “intervento” al capezzale di Nicola Bastìu è eutanasia o suicidio assistito?) ma si deve riconoscere a questa donna nerovestita un’arcana, severa moralità. Come quando rifiuta di “intervenire” nel caso di Jusepi Vargiu.
Infine, tocca a zia Bonaria di entrare in agonia. Maria Listru torna da Torino per accudirla fino alla fine. E’ fortunata (sembra di sentire il commento delle donne del paese) perchè l’agonia non sarà lunghissima. “C’erano state figlie che si erano giocate gli anni migliori della gioventù appresso a vecchie tiranniche che non si decidevano a morire…”
Ma l’atteggiamento di Maria è cambiato. “La ragazza cominciò a comprendere cosa intendeva Bonaria Urrai quando le aveva detto -Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo-“
Quando alla fine Andrìa, il fratello di Nicola Bastìu, sfiora con le labbra il “cadavere vivo” di zia Bonaria, perdonandola senza parlare, Maria si decide e compie l’atto definitivo.
Concludendo, tra l’epica dei “poveri e fieri” di Canale Mussolini e il dramma crudo e intenso di Accabadora NON SO COSA PREFERIRE.
Farò così: aspetterò i giorni ovattati tra Capodanno e l’Epifania e li rileggerò.