Atto primo.
Eravamo partiti da Broni (Pavia) e avevamo imboccato l’autostrada alle 14.41 (ho le prove, vostro onore) dirigendoci verso est.
Arriviamo al casello successivo. Castel San Giovanni (Piacenza).
Al casello si paga senza operatore umano. Tutto automatico: metti dentro il biglietto, paghi e te ne vai. Ma il Fato era in agguato.
Arrivati davanti alla Macchina ci accorgiamo che non si trova il biglietto. “Dov’è? Non l’avevi tu? “No, l’avevi tu!” Insomma un casino.
Non possiamo neppure fare retromarcia perché alle nostre spalle c’è già una fila.
La voce vellutata della Macchina continua a ripetere “Inserire il biglietto… Inserire il biglietto…” La fila si allunga. Percepisco il loro crescente incazzarsi.
A questo punto la Macchina non parla più. Subentra la voce, quasi militaresca, di una donna “Se non trova il biglietto dovrò addebitare la tariffa di massima percorrenza! E’ la legge!”
La legge va rispettata. Infilo nella Macchina due banconote per un totale di 70 euri, prendo il resto e oltrepasso il casello.
Fine del primo atto.
Atto secondo.
Pochi secondi dopo la mia dolce Paola trova il biglietto.
Fermo l’auto e raggiungo a piedi l’ufficio dei Controllori della Macchina.
Non mi trovo però di fronte a una donna. C’è invece un impiegato della Società Autostrade. Mi spiega che hanno dovuto prendere questi provvedimenti per scoraggiare i furbetti, che magari sono partiti da Bari o da Trieste e dicono di essere entrati nell’autostrada a Broni (il pedaggio da Broni è di 1,30).
“Ma adesso ho trovato il biglietto…”
“Mi dispiace, ma non posso farci niente. Noi non possiamo restituire denaro in qualsiasi forma…”
Mi dà dei moduli in cui attesterò, in forma di autocertificazione, il mio nome cognome targa del veicolo codice fiscale segno zodiacale ecc.
Lo invierò via fax al numero 011.91415313, dove (spero) accoglieranno la mia richiesta di rimborso, calcolando la differenza tra 67,50 e 1,30 euro.
L’importante è la salute. Amen.