canale mussolini, romanzo (luglio 2010)

“… e maledeti i Zorzi Vila!!!”

Questa imprecazione ricorre decine di volte nelle 450 pagine di questo filò (dopo spiegherò, a chi non lo sapesse, cosa significa filò) e ricorda al lettore il nocciolo della storia.

La (numerosissima) famiglia Peruzzi è stata rovinata da un avido latifondista, il conte Zorzi Vila. Per fame, solo per fame, hanno accettato di trasferirsi nell’agro Pontino, a poca distanza da quella che venne fondata col nome di Littoria (oggi nòmasi Latina).

Per la verità, la rovina dei Peruzzi era stata causata indirettamente anche dalla politica economica di Mussolini, dalla famigerata “quota 90”. E il narratore lo dice espressamente (a pag. 15): “il duce l’ha ammazzata l’agricoltura italiana”.

Non è la sola critica che viene rivolta al fascismo (la follia dell’impero africano, l’alleanza con Hitler, la seconda guerra mondiale…). Ma il concetto base è: “i poveracci come noi stavano da schifo già prima… la libertà il fascismo l’ha tolta ai signori, noi non l’abbiamo mai avuta”

Questo, in sintesi, è tutto. Ma dubito che CANALE MUSSOLINI avrebbe vinto il premio Strega (e non mi stupirei se vincesse anche il Campiello) se non ci fosse la romanzesca descrizione (un po’ MULINO DEL PO un po’ I MALAVOGLIA) dei guai del clan Peruzzi, sballottati dal delta del Po alle zanzare del Lazio, e soprattutto la fiabesca figura di ARMIDA, la moglie del Pericle, che si porta sempre dietro le sue “appi”. Api talmente sapienti (“maiala!” le dicono, a proposito della sua inarrestabile passione per il nipote Paride) da farle attraversare indenne un campo minato nel 1944.

Ne succedono davvero troppe ad Armida e al bel Paride. E, visto che alla fine della storia spariscono entrambi, ci sarà probabilmente un altro filò per sapere cosa è successo in seguito.

Difetti? Certamente ce ne sono, a cominciare dall’eccesso di “didascalismo”: il narratore (ve lo dirò dopo come si chiama, dopo l’immagine) infarcisce il filò di una quantità eccessiva di chiarimenti e precisazioni; si vede che parla a uno straniero, perché lo informa di cose che dovrebbe sapere anche un alunno di quinta elementare (che Matteotti fu ucciso dai fascisti, che una volta nascevano molti bambini, che Mussolini all’inizio era ferocemente anticlericale e antimonarchico, che l’8 settembre successe quel che successe…); e aggiunge interminabili pagine sulla vita delle api, sulla malaria trasmessa dalle zanzare, su come era costruito quel canale, sulle mucche maremmane ecc. Tutte cose utili, non dico di no, ma non indispensabili all’economia del romanzo.

Dopo la copertina, come promesso, rivelerò cosa significa fare filò e l’identità del narratore.

muss
Fare filò dalle nostre parti significava raccontare una o più storie nelle lunghe sere invernali finché il fuoco del caminetto non si spegneva.

Usanze contadine, tempi pretelevisivi.

Quanto al narratore, solo nelle ultime righe dell’ultima pagina si presenta come don Pericle Peruzzi, parroco. E’ il figlio di Armida!

Così i conti “tornano pari” : zio Pericle Peruzzi aveva iniziato la sua (diciamo così) carriera politica uccidendo a Comacchio un prete antifascista.

quando c’era Berlinguer…

Da un po’ di tempo passo bei momenti su Raistoria, sia nel pomeriggio che in prima e seconda serata.

L’altra sera parlavano di Berlinguer.
enri
Ovviamente in bene. Basterebbe pensare al rissoso bordello che è diventato il PD per capire l’importanza di un leader autorevole e serio come lui.

Eppure…

Eppure lo contestavano, anche duramente. Sono abbastanza vecchio da ricordare gli anni ’70, le folle di adolescenti con il Manifesto (spuntava dai tasconi dell’eskimo) che berciavano contro l’imborghesimento del PCI.

E ce n’era anche per Luciano Lama, che di Berlinguer era grande amico.
lamaeb
E’ il dramma (anzi, la tragedia) della sinistra italiana. C’è sempre qualcuno che salta su, in nome di un’imprecisata “purezza rivoluzionaria”, a contestare chi la rivoluzione non la ritiene imminente.

Succedeva anche negli anni ’20. La scissione del 1921 indebolì il Partito Socialista e chi ci guadagnò fu Mussolini, che si trovò davanti una sinistra disunita.

Dopo il delitto Matteotti (nell’unico momento in cui il fascismo era vulnerabile) i Socialisti insistettero fino in fondo con la “secessione aventiniana”, i Comunisti tornarono in aula. Quando ci si accorse di quanto fosse indispensabile l’unità antifascista era troppo tardi.
duce

Published in: on febbraio 16, 2017 at 11:39 am  Comments (6)  
Tags: , , ,

HOLIDAY, directed by G. Cukor

INCANTESIMO nella versione italiana (1938), una scintillante commedia con un ritmo perfetto, basata sul triangolo LUI (Grant), LEI (Doris Nolan) e LA SORELLA DI LEI (K. Hepburn).

TRAMA. LUI e LEI, trafitti dalla freccia di Cupido, vogliono sposarsi su due piedi; il padre di LEI (uno dei banchieri più ricchi d’America) accetterà solo se LUI si lascerà “inquadrare” nella sua banca; ma LUI non vuole farsi mettere il guinzaglio: ha delle idee troppo diverse (diciamo che è un contestatore globale con 30 anni di anticipo). Dopo una serie di colpi di scena tutto si risolverà sul transatlantico New York-Le Havre (è quasi lo stesso finale di SABRINA -1954- a parti invertite).

Raccontata così sembra solo una love story. Ma c’è molto di più: c’è la lotta di classe (anche in America c’è la lotta di classe).

LUI (laureato ad Harvard ma di umilissime origini) sa come si fanno i soldi: taglia il traguardo del milione di dollari a metà film. Ma il denaro è un mezzo, non un fine: vuole andare in pensione a 30 anni, girare il mondo e sperimentare le “cose nuove” che lo agitano; poi, forse, tornerà a lavorare. LEI è troppo tradizionalista per apprezzare questo progetto. LA SORELLA DI LEI (pecoranera della famiglia) è schierata contro il capitalismo e quando un cugino invoca per l’America un “right government” (si può tradurre con “governo giusto” o con “governo di destra”) scatta con un saluto fascista.

Pagine indimenticabili:

  • la Hepburn canta Camptown ladies sing dis song, doodah-doodah (aveva una bellissima voce)
  • la Hepburn fa il verso agli snob newyorkesi (“schiatto dal ridere: al combattimento di galli della sig.ra Onderkonk c’era la sig.ra Marble…”) che conosceva benissimo, essendo nata nella upper-class
  • C. Grant quando è stressato si rilassa facendo un salto mortale (niente controfigura, era un vero acrobata)

DOMANDA: quando LUI e LA SORELLA DI LEI arriveranno a Parigi, incontreranno Rick Blaine o Victor Laszlo?

Post scriptum dopo la domanda. Ormai quando vedo K. Hepburn non riesco a non pensare a Cate Blanchett, che la interpreta così bene in THE AVIATOR. Ma sui pregi e sui difetti di quel filmone (e sui motivi per cui ha beccato tanti oscar) vi annoierò un’altra volta.

le sorelle Lescano erano fasciste?

Non aspettatevi che risponda a questa domanda.

E’ una domanda mal posta.

Voglio invece citare il giudizio che ne dava mia madre (1911-1990) che ne era una fan.

“Le Lescano piacevano tanto (diceva mamma) perché avevano un accento esotico, uno stile veramente nuovo, americano (era lo “swing”, e il video che accludo ne è un esempio) e soprattutto perché le loro canzoni erano allegre, scacciapensieri, senza tutte quelle lagne che ci avevano rattristato fino a quel momento…”

Già, le canzoni “pre-Lescano”: un’orgia di lacrime. Giovani prostitute che morivano nella neve (“Capinera”), madri singhiozzanti davanti a figlie agonizzanti (“Balocchi e profumi”), sciantose ingrate che spezzavano il cuore a ingenui fessi (“Reginella”) e tristissimi notai che non ci avevano manco la legna per scaldarsi (“Signorinella”).

E allora, per reazione, arrivano le canzoni spensierate dello Swing: pinguini in frack, grassoni che galleggiano nel canale, tulipani che parlano d’amore e ragazze in pantaloni che si esaltano al passaggio di Tazio Nuvolari e bevono whisky-and-soda “così all’amore non ci pensi più…”

Purtroppo l’allegria durò poco. E nel 1939 Renato Ranucci (in arte Rascel) si mise a cantare profeticamente “è arrivata la bufera è arrivato il temporale…”

In conclusione, le 3 Leschan (Sandra, Judik e Catharina detta Kitty) erano artiste, tutto qui. Non ha senso indagare se avessero o meno la tessera del P.N.F.

Ce l’avevano quasi tutti nel mondo dello spettacolo (la chiamavano “la tessera del pane“): Gino Cervi, Ruggero Ruggeri, Ermete Zacconi, Alessandro Blasetti, Amedeo Nazzari… Per non parlare di Pirandello, Accademico d’Italia.