Ero un po’ prevenuto.
Ma mi sbagliavo: è davvero un bel film. Spero (nell’interesse del cinema italiano) che concorrerà all’Oscar per il Best Foreign Language Film
In gran parte è un vero e proprio film. Gli attori rievocano gli inizi di Fellini (a Roma nel 1939 nel Marc’Aurelio) e la sua formidabile ascesa. Osservate in particolare la surreale figura del Narratore (l’ottimo Vittorio Viviani) che gode del privilegio di non pagare il caffè proprio perché è il Narratore.
In questa cornice si inseriscono gli spezzoni. Ad esempio i provini di Sordi, Tognazzi e Gassman per il ruolo di Casanova (nel film, per la verità non perfetto, del 1976; la parte andò poi a D. Sutherland). Bravi tutti e 3: piacione Sordi, sarcastico Tognazzi e grottesco Gassman.
Finale bellissimo. Scena (vera) della camera ardente nello Studio 5 di Cinecittà, con due impettiti carabinieri in alta uniforme (più 2 vigili urbani, in rappresentanza del Comune) intorno alla bara. E poi… non ve lo racconto per non guastarvi la sorpresa.
Andatelo a vedere, anche se non siete fan di Scola. E, se siete dei veri cinefili, godetevi le citazioni fellinesche (il più citato, direi, è AMARCORD; logico, trattandosi di una rievocazione).
Cambiando argomento, il prossimo post avrà come titolo L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI CHRISTIAN.
Metterò a confronto il Christian nonoscarizzato del 1951 con quello oscarizzato del 1974. Chiedendo agli eventuali lettori del bloggaccio quale interpretazione dell’uno e dell’altro sia da ricordare.